Investire Globale : gli indici come pilastri della pianificazione finanziaria

di Manuela Pugliese • Client Coverage Division Xtrackers Sales – Italy

La pianificazione finanziaria è un processo strutturato volto a definire e raggiungere obiettivi economici attraverso una gestione efficiente delle risorse finanziarie. Un elemento cruciale di questo processo è l’asset allocation che consente di ottimizzare il rapporto rischio/rendimento in linea con gli obiettivi e la tolleranza al rischio dell’investitore.

Una strategia di asset allocation ben definita, che tenga conto della capacità, della disponibilità e della necessità di assumere rischi, è essenziale per costruire un portafoglio equilibrato e orientato al raggiungimento degli obiettivi finanziari prefissati.

All’interno di un portafoglio di lungo termine l’esposizione al mercato azionario riveste da sempre un ruolo centrale poiché, nell’arco di oltre cento anni, le azioni hanno spesso generato rendimenti superiori rispetto ad altre asset class; questa componente, accanto a quella obbligazionaria, contribuisce a migliorare il profilo rischio-rendimento complessivo, come evidenziato dal grafico sottostante che mostra come nel lungo periodo le azioni tendano a premiare gli investitori.

Figura 1 : Rendimenti medi annui nominali dal 1900 al 2024 per diverse classi di attività.

Fonte: DWS, dati MSCI per le azioni, Credit Suisse Global Investment Returns Yearbook per le obbligazioni governative, T-bills per i Titoli monetari al 31/12/2024. Le performance passate non sono indicative di rendimenti futuri. Analisi a scopo illustrativo e non rappresenta un sollecito all’investimento.

Il maggiore rendimento è diretta conseguenza del maggior rischio delle azioni e a supporto di questa considerazione intervengono i dati storici sull’indice MSCI Total Return Net World (da qui in avanti MSCI World); questo benchmark è un indice a capitalizzazione, solitamente utilizzato per rappresentare il mercato azionario, che mostra come nell’arco di un solo anno la probabilità di registrare un rendimento negativo possa raggiungere il 25–30%. Tuttavia, se si estende l’orizzonte d’investimento a 5, 10 o addirittura 20 anni, tale probabilità storicamente si è ridotta drasticamente, fino a raggiungere valori prossimi allo zero. In altre parole, più a lungo si detiene un portafoglio di azioni ben diversificato, più si riduce la possibilità di subire una perdita, mentre di contro si amplifica il potenziale di rendimento (vedi grafico n.2).
Questo fenomeno rende le azioni una componente quasi irrinunciabile in un portafoglio, specialmente per chi punta a obiettivi di medio-lungo termine. Se da un lato è vero che l’azionario presenta una volatilità più elevata rispetto ad altre asset class, dall’altro ha storicamente offerto prospettive di rendimenti superiori.

Figura 2 : Probabilità di perdita, guadagno e i rendimenti medi per periodi di detenzione di 1 anno, 5, 10 e 20 anni.

Fonte: DWS, dati MSCI al 31/12/2024. Le performance passate non sono indicative di rendimenti futuri. Analisi a scopo illustrativo e non rappresenta un sollecito all’investimento.

Parlando di allocazione azionaria, il principio della diversificazione è cruciale per mitigare il rischio specifico e ridurre l’impatto delle fluttuazioni negative su singoli settori, regioni o titoli. In questo senso, per quanto precedentemente rappresentato, indici a capitalizzazione come l’MSCI World ed il FTSE Developed World sono benchmark storicamente utili a rappresentare l’andamento globale del mercato azionario, grazie alla loro ampia copertura che include oltre 1400 titoli di 23 mercati sviluppati. A livello teorico sono considerati indicatori ben diversificati, in quanto abbracciano diverse regioni geografiche e settori industriali. L’investitore però dovrebbe tenere in considerazione i seguenti fattori per una corretta gestione del rischio:

  1. Concentrazione geografica:

Più del 70% del peso di entrambi gli indici è rappresentato dagli Stati Uniti il che implica un rischio fortemente concentrato su un’unica economia se solo si pensa che fino a tre decenni fa era pari al 40%. Ciò potrebbe rendere l’MSCI World e il FTSE Developed World particolarmente vulnerabili alle fluttuazioni del mercato azionario statunitense, nonostante i nomi suggeriscano una copertura più equilibrata a livello mondiale.

  • Concentrazione settoriale:

Osservando ad esempio l’MSCI World, l’indice è attualmente significativamente esposto a pochi settori, in particolare quello tecnologico. Giganti come Apple (5.42%), Nvidia(4.69%), Microsoft (4.24%) e Amazon (2.96%), che a dicembre 2024 sono arrivati a pesare quasi il 18% rappresentano una parte considerevole dell’indice, (16% nel FTSE Developed Word), aumentando la concentrazione su un numero ristretto di aziende. Questo può amplificare il rischio specifico di settore.

  • Esclusione di mercati emergenti:

Entrambi gli indici escludono totalmente i mercati emergenti, che rappresentano una quota significativa dell’economia globale e offrono potenziali di crescita differenti rispetto ai mercati sviluppati. Per coprire questa mancanza, è necessario combinare l’MSCI World o il FTSE Developed World con altri indici, come l’MSCI Emerging Markets (FTSE Emerging Markets), oppure scegliere benchmark ancora più estesi dal punto di vista geografico come l’ MSCI All Country World Index (ACWI) o il FTSE All-World.

Gli indici a capitalizzazione sono molto efficaci nel rappresentare l’andamento dei principali mercati azionari e sono storicamente anche molto difficili da battere da un punto di vista di performance. Questo tipo di allocazione, peraltro, parte dall’assunto che i mercati siano efficienti e che i prezzi delle azioni riflettano tutte le informazioni disponibili e che quindi il valore di mercato di ogni azienda rappresenti accuratamente la sua importanza relativa nel mercato globale. Sono infatti indicatori forward-looking, incorporano cioè tutte le aspettative future degli utili. Può valere la pena però, considerando l’attuale concentrazione dell’MSCI World e del FTSE Developed World, analizzare anche altre metodologie di allocazione regionale come quelle basate su PIL, Ricavi e analisi di rischio rendimento. Queste analisi sono state illustrate in un recente paper di DWS dal titolo: “World ex USA: The Quintessential Tool for Asset Allocation in a Concentrated World”.

1. Peso basato sul PIL

Il peso di ciascun paese all’interno dell’indice globale è determinato dal suo Prodotto Interno Lordo (PIL), mentre per l’allocazione del singolo titolo all’interno del paese si utilizza sempre la capitalizzazione. Questo metodo non è forward looking in quanto fotografa le dimensioni attuali di ciascuna economia. Tuttavia, il PIL rappresenta un indicatore affidabile perché esprime la forza economica di ciascun paese. In base a questa metodologia il peso degli Stati Uniti all’interno dell’indice si ridurrebbe dal 70% al 50%. Questo metodo suggerirebbe inoltre di inserire i mercati emergenti in quanto rappresentano attualmente il 37% del PIL globale.

2. Peso basato sui ricavi

Come per il PIL anche questa metodologia non è forward-looking perché fotografa la capacità attuale di ciascuna azienda di generare reddito, ma è un indicatore utile perché riflette la reale posizione competitiva di un’azienda sul mercato in termini di vendite. A differenza della metodologia market cap, i ricavi non sono influenzati dalle aspettative.

Nonostante molte multinazionali statunitensi generino una quota significativa dei loro ricavi anche al di fuori degli Stati Uniti, anche questo approccio, come quello precedente, suggerirebbe una riduzione del peso del mercato americano dal 70% al 50%.

3. Peso basato sul rischio

Se da un punto di vista concettuale le metodologie di allocazione precedenti risultano abbastanza intuitive, nel corso degli ultimi due decenni entrambe avrebbero sottoperformato quella a capitalizzazione. Questo ci suggerisce la necessità di introdurre anche la variabile rischio e cioè: qual è il contributo del mercato USA in termini di rischio complessivo del portafoglio? E soprattutto, vale la pena assegnare un peso maggiore ad aree geografiche, che, sebbene abbiano registrato delle performance inferiori negli ultimi anni, sono in grado di offrire un contributo maggiore in termini di una riduzione della volatilità complessiva del portafoglio?

Una rapida analisi rischio/rendimento, effettuata utilizzando i dati di performance e le correlazioni storiche lo confermerebbe. Sebbene, infatti, gli Stati Uniti siano stati un innegabile motore di performance, rappresentano attualmente il 92% del rischio complessivo per un investitore globale denominato in euro1. Inoltre, negli ultimi 25 anni, un investitore alla ricerca della frontiera efficiente non avrebbe avuto bisogno di assegnare un peso agli Stati Uniti superiore al 50%, a favore di una maggiore enfasi su altre aree geografiche come l’Europa, in particolare la Svizzera.

[1] Fonte: DWS, Bloomberg a settembre 2024. Sono stati utilizzati dati storici a 10 anni

In sintesi, il risultato di tutte e tre le metodologie analizzate (vedi tabella sottostante) suggerirebbe di ridurre il peso del mercato azionario statunitense di circa il 20% rispetto ad un approccio che definisce le allocazioni per paese in base alla capitalizzazione di mercato. Ciò al fine di contenere il rischio di shock specifici che potrebbero riguardare le aziende a più alta capitalizzazione del mercato americano.

 Peso implicito basato su Market capPeso implicito basato sul PILPeso implicito basato sui Ricavi  Peso implicito basato sul Rischio
USA67%50%48%50%
World ex USA33%50%52%50%

Fonte: DWS, Xtrackers paper  “World ex USA: The Quintessential Tool for Asset Allocation in a Concentrated World”. Analisi a scopo illustrativo e non rappresenta un sollecito all’investimento

Passando dall’allocazione all’implementazione, l’ampia disponibilità di indici regionali replicati da specifici ETF consente di adottare approcci personalizzati all’asset allocation, senza necessariamente essere vincolati dalla struttura dell’indice MSCI World o FTSE Developed World. Di seguito forniamo alcuni esempi:

  1. Implementazione di una diversificazione geografica tramite la combinazione di un portafoglio di ETF regionali.

Per replicare la diversificazione geografica dell’indice MSCI World o FTSE Developed World con maggiore flessibilità è possibile utilizzare 5 diversi ETF che replicano 5 indici regionali. A scopo esemplificativo, una possibile allocazione utilizzando indici MSCI prevede: MSCI Total Return Net Europe, MSCI Total Return Net Pacific ex-Japan, MSCI Total Return Net Canada, MSCI Total Return Net Japan e MSCI Total Return Net USA. Questa suddivisione consente di coprire 22 paesi su 23 rappresentati, rimarrebbe escluso solo Israele.

Indice  AllocazioneTER medio di mercato
MSCI Europe30%0.15%
MSCI Pacific ex-Japan5%0.22%
MSCI Canada5%0.35%
MSCI Japan10%0.15%
MSCI USA50%0.11%

Proseguendo nell’analisi, è importante considerare i vantaggi e gli svantaggi di una strategia basata sulla diversificazione geografica tramite un portafoglio di ETF regionali rispetto all’utilizzo di un singolo ETF globale come l’MSCI World. La strategia con ETF regionali consente, in primo luogo, una maggiore flessibilità di allocazione: l’investitore ha la possibilità di sovra pesare o sotto pesare specifiche regioni, adattandosi alle tendenze economiche globali o alle proprie aspettative di mercato. Inoltre, questa strategia permette un controllo più diretto sui rischi, riducendo la dipendenza da regioni dominanti. Infine, gli ETF regionali possono essere scelti in base ai costi di gestione (TER) più competitivi ottimizzando i rendimenti.

Tuttavia, l’investitore deve tener conto anche dei costi di ribilanciamento di questa strategia: mantenere l’allocazione geografica desiderata richiede operazioni periodiche di acquisto e vendita che generano costi operativi e commissioni di trading. Inoltre, la gestione di questa tipologia di portafoglio implica un monitoraggio continuo aumentando la complessità e il carico di lavoro per l’investitore.

  • Utilizzo di un approccio a due pilastri separando le esposizioni USA e quelle nel resto del mondo.

L’indice MSCI World ex USA, recentemente entrato a far parte dei benchmark replicati da ETF UCITS, può rappresentare una soluzione utile, in quanto consente agli investitori di gestire separatamente la componente USA dal resto dei mercati sviluppati. Rispetto all’esempio precedente consente quindi di ridurre il numero di ETF e di focalizzarsi solo sulla componente USA, lasciando i pesi dei restanti 22 paesi invariati, riducendo in tal modo i costi di ribilanciamento periodico.

Un portafoglio costituito da due pilastri (USA e MSCI World-ex USA) rispetto al semplice MSCI World potrebbe inoltre consentire una riduzione dei costi complessivi di implementazione come illustrato nel grafico sottostante. Nel lungo periodo, il costo iniziale legato allo spread nell’acquisto del prodotto scelto, diventa infatti sempre meno rilevante, mentre acquisisce maggiore importanza il costo di mantenimento, rappresentato dal TER (Total Expense Ratio). L’elevata attività sul mercato secondario, caratteristica degli ETF più grandi legati all’MSCI World, li rende strumenti particolarmente adatti per implementazioni a breve termine. Tuttavia, nel lungo periodo, un investitore disposto a sostituire un’allocazione basata su un unico pilastro con un’allocazione su due pilastri, indipendentemente dal peso che intende attribuire alla componente USA (50% o 70%), potrebbe ottenere vantaggi significativi in termini di costi di mantenimento rispetto alle tradizionali allocazioni basate sull’MSCI World.  

Figura 3 : Analisi dei costi dell’approccio a due pilastri VS l’MSCI World

Fonte: DWS, Xtrackers paper “World ex USA: The Quintessential Tool for Asset Allocation in a Concentrated World”. Analisi a scopo illustrativo e non rappresenta un sollecito all’investimento